Dalla guerra di Resistenza » alla costruzione del Pilastro

A story from Collecting Stories

I came to live at Pilastro in 1969. Back then I was dressmaker and worked at home. At that time the Pilastro was an incredibly well-organized place. Even if there were no public services at all, there were extraordinary people here. We used to prepare fresh pasta and tortellini to be sold at dance parties we organized. Then we offered the profits at local schools for buying the stuff they needed. This is the story of Pilastro. But all this started in 1971-72 because there were no schools before: when IACP built council houses here, they didn’t think about public services and our children had to go to Quarto for schools. After 1972, they started to create new services, but all citizens helped out in this process. We all worked a lot, we had to fight to obtain this result. The Pilastro was born this way, little by little: all of us, who had fought in the civil war as partisans, we continued our struggle in different ways.

103 years old
Witness told by Gina Tassinari, collected by Bruna Gambarelli

Full version:
Mi chiamo Gina, sono nata nel 1912 e dal 1969 abito al Pilastro.
Alla fine della guerra, la mia famiglia fu sfollata da Granarolo a Bologna che allora era stata dichiarata Città Aperta. Bologna allora era piena di contadini che avevano portato le mucche e gli animali nelle cantine delle case patrizie. Io ero una ragazza e facevo la staffetta, portavo i dispacci, andavo sempre in bici, ovunque. Mio fratello mi diceva: domattina bisogna andare a Cà de’ Fabbri a portare un dispaccio. E io partivo con la bici. C’era anche mia cognata, che venne a Bologna prima di me perché era incinta, allora lei col bimbo nella carrozzella portava i dispacci a Dozza, faceva la staffetta. Dozza infatti era un partigiano a Bologna, prima di diventare sindaco.
Qualche giorno prima della Liberazione, mi mandarono a Quarto per un dispaccio, ma rimasi a piedi con la bicicletta e dovetti tornare a piedi. Ci misi molto tempo ed era venuto il coprifuoco. Quando arrivo a casa vedo mio babbo da lontano che guardava, guardava, poi tornava in casa, poi tornava a uscire. Piangeva mio babbo, perché pensava che mi avessero preso. Aveva le lacrime agli occhi. Invece era andato tutto abbastanza bene.
Mio babbo al tempo del fascismo era un capolega, un sindacalista, aveva le chiavi della Casa del Popolo. Lui era socialista, era molto impegnato, una sera andavamo a letto e mi sembrò strano perché andò a letto anche lui, invece di solito andava sempre al bar o all’osteria. La mattina mi alzai e dovevo passare per la loro camera e lo vidi a letto tutto fasciato e mi spaventai. Allora mia mamma mi spiegò che la notte erano venuti i fascisti, gli hanno dato un mucchio di botte. Sono quei ricordi che non si dimenticano. Qualche giorno dopo sentii mio babbo che diceva: vado a fare un giro, a vedere se fuori c’è qualcuno. Dopo un po’ mio padre rientrò e ci disse che non aveva visto in giro né fascisti né tedeschi. E io gli dico: “Ma va là che da qualche parte ci sono!”. Pensa un po’, noi non sapevamo niente, invece la guerra era finita. Ma io la sera prima ero dovuta andare fino a San Sisto a piedi di nuovo – gli ultimi giorni si aveva paura di usare la bici – ed ero così stanca, avevo le gambe tutte gonfie, che non sono neanche andata in piazza a festeggiare con gli altri…

Noi poi siamo venuti ad abitare al Pilastro nel 1969. Ma nel 1971 mio marito è morto e sono sola da allora. Finché ho potuto lavorare, l’ho fatto. Lavoravo in casa, facevo la sarta.
Poi verso il 1977-1978 hanno cominciato ad aprire il centro anziani, ma prima noi ci eravamo già riuniti insieme: ci facevamo da mangiare da soli e ci trovavamo nella "Casa Gialla". Eravamo un gruppo di anziani che provenivano da tutte le parti di Italia. Ci trovavamo lì a mezzogiorno e con una macchinetta moka ci facevamo il caffè, per stare insieme. Questo è stato il primo nucleo della comunità del Pilastro, che si è formato subito da gente che arrivava dai posti più diversi. Quando le persone emigravano qui, in molti si davano subito da fare per tutti. C'era un'organizzazione al Pilastro incredibile. C'erano delle persone come il dott. Brescia, che è stato un po' un faro per noi: lui ha pensato subito agli anziani ma anche ai bambini. Ad esempio iniziò a fare la prevenzione dentale alle scuole, la prevenzione della sclerosi... Alla fine della costruzione del Pilastro c’erano quasi 2.500 nuclei famigliari qui e molti avevano anche 10-12 figli. Molti di questi bambini venivano dalle campagne, dal sud, e non avevano mai fatto una visita medica. Quelli del Circolo La Fattoria comprarono con delle loro attività una macchina per fare l'elettrocardiogramma, tassandosi come soci del circolo. Loro avevano 650 bambini iscritti per lo sport. Noi del centro anziani facevamo i tortellini e la pasta e poi le vendevamo durante le feste da ballo. Poi i soldi racimolati si davano alla scuola per comprare delle cose.
Questa è storia del Pilastro. Queste cose sono iniziate nel 71-72, perché prima le scuole non c'erano. Le scuole medie sono venute dopo: quando lo IACP costruì le case qui non pensavano ai servizi. I bambini prima di allora andavano a scuola a Quarto. Dopo invece, dal 1972, hanno iniziato a creare i servizi, ma insieme ai cittadini però.
Noi abbiamo tutti fatto un grosso lavoro, una lotta, fatta di lavoro. Il Pilastro è nato piano piano un po’ così, noi che avevamo fatto la guerra partigiana, dopo abbiamo continuato la lotta in un altro modo. Già prima di venire al Pilastro, quando ero ancora a Granarolo, io avevo un gruppo di bambini, “i pionieri”. Dopo la guerra, l'allora Partito Comunista fece una specie di copia di quello che facevano in chiesa, i bambini si trovavano in gruppo e si chiamavano i “pionieri”. Allora avevo quel compito lì, di educare i bambini che non andavano in parrocchia. Ed erano molti, perché allora i bambini in parrocchia non ci andavano in tanti, c’erano degli attriti con la chiesa. Facevamo molte cose, abbiamo fatto anche delle commedie!
Però al Pilastro ci sono stati anche dei periodi duri. A me sembra che oggi non succedono più quelle cose che succedevano allora… in quegli anni là facevano le schioppettate due volte al giorno qui! In principio è stato per via dei meridionali e in mezzo a quelli c'erano due o tre famiglie che dicevano che erano dei mafiosi. C’erano quindici famiglie in soggiorno obbligato al Pilastro. Qui fuori dalla mia finestra facevano le gare con le macchine rubate. Al Pilastro non ci veniva nessuno… e poi c'era anche il Carlino che ci dava una mano! Pubblicavano sempre delle sciocchezze; succedeva qualcosa a San Donnino, era successo al Pilastro!
Un giorno incontrai una famiglia che conoscevo, e mi chiedono: dove abiti? Rispondo che abito al Pilastro e questi mi guardano con due occhi sbarrati: “Abiti al Pilastro? E come fai?”. Ma a me qui nessuno mi ha mai disturbato. Io sono stata sempre bene, andavamo tutti d’accordo e ci conoscevamo. La sera ci si metteva fuori con le sedie e si chiacchierava: c’era il cortile. Ma adesso è finito tutto, ci siamo un po’ chiusi secondo me. E c’è anche molto razzismo verso gli stranieri. Le mie amiche mi dicono: “Ma a te piace questa gente qui?” E io rispondo: “Non vi ricordate che siamo emigrati dall'Italia per tanto tempo?”. I primi che sono venuti qui è stato perché c'era la guerra da loro, erano costretti a venire. A me mi facevano compassione. Però devo dire anche che ce ne sono tanti di stranieri qui al Pilastro, vengono da tanti posti diversi, ma alla fine si va ancora tutti abbastanza d'accordo.
Io qui mi sono sempre trovata bene, e poi col centro anziani abbiamo fatto tante cose, era come una seconda famiglia per me. Ed era una cosa che ti toglieva di casa. C'è da dire che io non mi sono mai fermata, anche quando ero in casa ho sempre lavorato anche di sera. E anche adesso faccio così, prima delle undici non vado mai a letto, mi piace ascoltare i dibattiti politici in televisione. Però, adesso che ci penso quasi quasi una sera posso venire a teatro da voi…

103 anni
testimonianza di Gina Tassinari
raccolta da Bruna Gambarelli

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Pilastro, Bologna, Metropolitan City of Bologna, Italy